Aiutare un bambino nel suo processo di crescita, affinché affronti pienamente sia i compiti evolutivi che naturalmente si trova a dover sostenere, sia le situazioni di vita sempre più articolate che può trovarsi a fronteggiare, è un compito molto complesso per ogni educatore. Alla base di tale complessità c’è un presupposto fondamentale: ogni bambino, così come ogni nucleo familiare nel quale è inserito, ha delle sue specificità che hanno bisogno di essere riconosciute e valorizzate. Aspetti come il temperamento e l’ambiente sociale interagiscono tra loro per determinare dei percorsi di sviluppo che in talune situazioni possono essere più faticosi, difficili, sia per il minore sia per gli adulti che se ne prendono cura.
Una competenza che è riconosciuta essere tra i fondamenti del benessere di ogni essere umano va sotto il nome di intelligenza emotiva.
Cosa è questa competenza e come promuoverla? La Dott.ssa Chiara Grava, psicologa, esperta nell’intervento psicologico con bambini e famiglie, approfondisce questo tema.
L’intelligenza emotiva: saper riconoscere le proprie emozioni, non lasciarsi sopraffare da esse, essere capaci di gestirle, sono solo alcune delle capacità che ci consentono di vivere pienamente gli eventi della vita senza esserne travolti o al contrario senza lasciarsi toccare da essi.
Ogni bambino si porta dietro uno zaino di strategie e di abilità che ha appreso grazie, in primis, alla relazione con i suoi genitori: talvolta però tale zaino non è sufficiente, oppure è usato in modo troppo rigido. Ecco allora che problemi emotivi e comportamentali come aggressività, difficoltà a prestare attenzione e a rimanere concentrati, ansia, tristezza, povertà nei rapporti sociali, scarsa autostima, difficoltà a tollerare la frustrazione, si presentano quando alcune capacità, strategie e /o risorse non sono sufficientemente sviluppate o sono usate in modo non funzionale.
Tali problematicità talvolta sono individuate dai genitori, altre volte sono riscontrate dagli insegnanti che hanno la possibilità di osservare il minore in un contesto specifico diverso da quello familiare. La consapevolezza, da parte degli adulti significativi, che un bambino sta vivendo delle difficoltà che non riesce a superare nemmeno con l’aiuto dei grandi, è un importante momento di svolta: cercare infatti uno spazio di ascolto, di confronto e di comprensione
è il primo passo per il cambiamento. Il passo successivo consiste nell’individuare le risorse presenti in ogni bambino e in ogni nucleo familiare e dare ascolto alle difficoltà che entrambi si trovano a vivere in un certo momento della loro vita.
Infine, qualora si reputi necessario un intervento, c’è la presa in carico che coinvolge in prima istanza il minore: quest’ultimo ha così la possibilità di condividere i suoi vissuti, a volte dolorosi, e le fragilità percepite e di sperimentare nuovi modi di far fronte a ciò che è per lui così faticoso da superare. Riconoscere che la famiglia ha un ruolo fondamentale nel processo di crescita di un minore significa coinvolgerla attivamente nel percorso di aiuto attraverso prima di tutto la ricerca di una comprensione reciproca delle difficoltà che minore e genitori stanno vivendo; a questo, segue la condivisione degli obiettivi e degli strumenti che vengono proposti e insegnati al fine di ampliare quello zaino di abilità che accompagna ogni individuo.
Sicuramente, gli interventi avviati durante l’età dell’infanzia sono molto preziosi perché il riconoscimento tempestivo delle fragilità e la presa in carico successiva possono favorire il rientro di quelle problematicità che con il passare del tempo rischiano di diventare più intense, di stabilizzarsi e trasformarsi in veri e propri disturbi.